Si può restituire ovvero riconsegnare qualcosa che non si è ricevuto.
Secondo il Tribunale di Genova sembrerebbe di sì.
Il suddetto Giudicante, nella sentenza n. 1652/2020, dopo aver riconosciuto che il cessionario di un’azienda era il reale contraente accipiens, come tale passivamente legittimato all’azione di ripetizione, giunge, infatti, alla conclusione secondo cui il “contratto di cessione, con cui il suddetto accipiens aveva ceduto il ramo aziendale avrebbe avuto quale conseguenza anche il trasferimento “al cessionario” del debito relativo “alla restituzione delle somme che, prima della cessione, erano state indebitamente incassate dal cedente.”
Nella sentenza in parola, il Tribunale di Genova, richiamando due pronunce della Suprema Corte (ed esattamente le sentenze nn. 2961/2013 e 8055/2018), afferma più precisamente che: “In tema di cessione di azienda, il regime fissato dall'art. 2560, comma 2, c.c., con riferimento ai debiti relativi all'azienda ceduta, secondo cui dei debiti suddetti risponde anche l'acquirente dell'azienda allorché essi risultino dai libri contabili obbligatori, è destinato a trovare applicazione quando si tratti di debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite (nella specie, ad un contratto ad esecuzione continuata e periodica quale quello di somministrazione di gas), in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c., inserendosi la responsabilità, infatti, in tal caso, nell'ambito della più generale sorte del contratto (purché, beninteso, non già del tutto esaurito), anche se in fase contenziosa al tempo della cessione dell'azienda”.
Principio muovendo dal quale il Tribunale conclude nel senso che il cessionario, all’esito dell’acquisto del ramo d’azienda e del subentro, ex art. 2558 c.c., nei contratti di somministrazione, sarebbe tenuto alla restituzione dei corrispettivi pagati dagli attori a cedente dell’azienda anteriormente alla cessione.
Detta conclusione, sebbene non venga esplicitato direttamente in motivazione, appare ruotare su di un assunto di Cass. n. 2961/2013, così sintetizzabile: l’azione di ripetizione (che nella specie afferiva ad indebite maggiorazioni di canoni di locazione) trovando titolo in un rapporto contrattuale (nella specie locatizio), vieppiù se pendente, del quale è contestata solo la legittimità della misura del canone, integrerebbe un’azione contrattuale e non già un’ordinaria ripetizione di indebito; ragione per cui “La percezione, da parte del locatore pro tempore, di un'indebita maggiorazione di canone di immobile aziendale da luogo quindi ad un debito immanente allo sviluppo pregresso dell'unitario rapporto locatizio aziendale (sviluppo del quale si è non legittimamente avvantaggiato il precedente locatore, con detrimento delle ragioni di controparte), il quale non assume carattere personale e si trasferisce al cessionario dell'azienda, il quale, quand'anche non abbia materialmente percepito le somme relative, ne risponde verso il contraente ceduto.”.
Assunto questo che si infrange, tuttavia, sulla, granitica, conclusione (tanto dottrinaria quanto giurisprudenziale) secondo cui: nel nostro sistema l’azione di caducazione del contratto in quanto tale non ha una funzione restitutoria, ma ne costituisce l’antecedente logico-giuridico: l’obbligazione restitutoria, infatti, non ha mai natura contrattuale e non vi sono ragioni per un recupero dell’obbligazione restitutoria all’interno del contratto (cfr. Cass. n. 9052/2010; conf. Cass. 14013/2017 e Cass. 715/2018; ROPPO Il contratto, in Trattato di diritto privato IUDICA ZATTI, Milano 2001, p. 949).
Avverso la suddetta pronuncia del Tribunale di Genova è stato proposto ricorso in Cassazione.